Intervista a Giacomo Leopardi: "I miei Amori"

 

Immagine trovata sul web

Giacomo Leopardi si confessa e ci parla, per la prima volta, dei suoi amori, veri o presunti.

Si è parlato molto del suo amore per Silvia o della più reale Fanny Targioni Tozzetti; ma il primo amore se lo ricorda ancora?

[…] la sera dell’ultimo Giovedì, arrivò in casa nostra, aspettata con piacere da me, né conosciuta mai, ma creduta capace di dare qualche sfogo al mio antico desiderio, una Signora Pesarese nostra parente più tosto lontana, di ventisei anni, col marito di oltre a cinquanta, grosso e pacifico, alta e membruta quanto nessuna donna ch’io m’abbia veduta mai, di volto però tutt’altro che grossolano, lineamenti tra il forte e il delicato, bel colore, occhi nerissimi, capelli castagni, maniere benigne, e, secondo me, graziose, lontanissime dalle affettate, molto meno lontane dalle primitive, tutte proprie delle Signore di Romagna e particolarmente delle Pesaresi, diversissime, ma per una certa qualità inesprimibile, delle nostre Marchegiane. 

E cosa accadde?

Quella sera la vidi, e non mi dispiacque; ma le ebbi a dire pochissime parole, e non mi ci fermai col pensiero. […] La sera del Venerdì, i miei fratelli giuocarono alle carte con lei: io invidiandoli molto, fui costretto a giuocare agli scacchi con un altro: mi ci misi per vincere, a fine di ottenere le lodi della Signora (e della Signora sola, quantunque avessi dintorno molti altri) la quale senza conoscerlo, facea stima di quel giuoco. […] Intanto l’aver veduto e osservato il suo giuocare coi fratelli, m’avea suscitato gran voglia di giuocare io stesso con lei, e così ottenere quel desiderato parlare e conversare con donna avvenente: per la qual cosa con vivo piacere sentii che sarebbe rimasa fino alla sera dopo.

Riuscì a giocarci anche lei?

Sì, Venuta l’ora, giuocai. N’uscii scontentissimo e inquieto. Avea giuocato senza molto piacere, ma lasciai anche con dispiacere, pressato da mia madre. La Signora m’avea trattato benignamente, ed io per la prima volta avea fatto ridere colle mie burlette una dama di bello aspetto, e parlatole, e ottenutone per me molte parole e sorrisi. Laonde cercando fra me perché fossi scontento, non lo sapea trovare. Non sentia quel rimorso che spesso, passato qualche diletto, ci avvelena il cuore, di non esserci ben serviti dell’occasione. Mi parea d’aver fatto e ottenuto quanto si poteva e quanto io mi era potuto aspettare. Conosceva però benissimo che quel piacere era stato più torbido e incerto, ch’io non me l’era immaginato, ma non vedeva di poterne incolpare nessuna cosa. E ad ogni modo io mi sentiva il cuore molto molle e tenero, e alla cena osservando gli atti e i discorsi della Signora, mi piacquero assai, e mi ammollirono sempre più; e insomma la Signora mi premeva molto: la quale nell’uscire capii che sarebbe partita l’indomani, né io l’avrei riveduta. Mi posi in letto considerando i sentimenti del mio cuore, che in sostanza erano inquietudine istintiva, scontento, malinconia, qualche dolcezza, molto affetto, e desiderio non sapeva né so di che, né anche fra le cose possibili vedo niente che mi possa appagare. 

Di Silvia abbiamo una bellissima poesia e per questo primo amore? Ha sentito il bisogno di trasformalo in poesia?

Certo…l’Elegia Prima…vuole che gliela reciti?

Sarebbe un onore…

Allora la onoro:

Tornami a mente il dì che la battaglia
D'amor sentii la prima volta, e dissi:
Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia! 

Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi,
Io mirava colei ch'a questo core
Primiera il varco ed innocente aprissi.  

Ahi come mal mi governasti, amore!
Perchè seco dovea sì dolce affetto
Recar tanto desio, tanto dolore?  

E non sereno, e non intero e schietto,
Anzi pien di travaglio e di lamento
Al cor mi discendea tanto diletto?  

Dimmi, tenero core, or che spavento,
Che angoscia era la tua fra quel pensiero
Presso al qual t'era noia ogni contento?  

Quel pensier che nel dì, che lusinghiero
Ti si offeriva nella notte, quando
Tutto queto parea nell'emisfero:  

Tu inquieto, e felice e miserando,
M'affaticavi in su le piume il fianco,
Ad ogni or fortemente palpitando.  
E dove io tristo ed affannato e stanco
Gli occhi al sonno chiudea, come per febre
Rotto e deliro il sonno venia manco.  

Oh come viva in mezzo alle tenebre
Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi
La contemplavan sotto alle palpebre!  

Oh come soavissimi diffusi
Moti per l'ossa mi serpeano, oh come
Mille nell'alma instabili, confusi  

Pensieri si volgean! qual tra le chiome
D'antica selva zefiro scorrendo,
Un lungo, incerto mormorar ne prome.  

E mentre io taccio, e mentre io non contendo,
Che dicevi, o mio cor, che si partia
Quella per che penando ivi e battendo?  

Il cuocer non più tosto io mi sentia
Della vampa d' amor, che il venticello
Che l'aleggiava, volossene via.  

Senza sonno io giacea sul dì novello,
E i destrier che dovean farmi deserto,
Battean la zampa sotto al patrio ostello.  

Ed io timido e cheto ed inesperto,
Ver lo balcone al buio protendea
L'orecchio avido e l'occhio indarno aperto,  

La voce ad ascoltar, se ne dovea
Di quelle labbra uscir, ch'ultima fosse;
La voce, ch'altro il cielo, ahi, mi togliea.  

Quante volte plebea voce percosse
Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese,
E il core in forse a palpitar si mosse!  

E poi che finalmente mi discese
La cara voce al core, e de' cavai
E delle rote il romorio s'intese;  

Orbo rimaso allor, mi rannicchiai
Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi,
Strinsi il cor con la mano, e sospirai.  

Poscia traendo i tremuli ginocchi
Stupidamente per la muta stanza,
Ch'altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi?  

Amarissima allor la ricordanza
Locommisi nel petto, e mi serrava
Ad ogni voce il core, a ogni sembianza.  

E lunga doglia il sen mi ricercava,
Com'è quando a distesa Olimpo piove
Malinconicamente e i campi lava.  

Ned io ti conoscea, garzon di nove
E nove Soli, in questo a pianger nato
Quando facevi, amor, le prime prove.  

Quando in ispregio ogni piacer, nè grato
M'era degli astri il riso, o dell'aurora
Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato.  

Anche di gloria amor taceami allora
Nel petto, cui scaldar tanto solea,
Che di beltade amor vi fea dimora.  

Nè gli occhi ai noti studi io rivolgea,
E quelli m'apparian vani per cui
Vano ogni altro desir creduto avea.  

Deh come mai da me sì vario fui,
E tanto amor mi tolse un altro amore?
Deh quanto, in verità, vani siam nui!  

Solo il mio cor piaceami, e col mio core
In un perenne ragionar sepolto,
Alla guardia seder del mio dolore.  

E l'occhio a terra chino o in se raccolto,
Di riscontrarsi fuggitivo e vago
Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto:  

Che la illibata, la candida imago
Turbare egli temea pinta nel seno,
Come all'aure si turba onda di lago.  

E quel di non aver goduto appieno
Pentimento, che l'anima ci grava,
E il piacer che passò cangia in veleno,  

Per li fuggiti dì mi stimolava
Tuttora il sen: che la vergogna il duro
Suo morso in questo cor già non oprava.  

Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro
Che voglia non m'entrò bassa nel petto,
Ch'arsi di foco intaminato e puro.  

Vive quel foco ancor, vive l'affetto,
Spira nel pensier mio la bella imago,
Da cui, se non celeste, altro diletto  

Giammai non ebbi, e sol di lei m'appago

 

Meravigliosa, complimenti Conte Leopardi.

La ringrazio.

La lontananza vi ha separati… così è finito il suo primo amore...

Vuole sentire che cosa scrissi allora sul mio diario a proposito di quel sentimento, ho qui il diario?

Oh certo!

Senta:

Se questo è amore, che io non so, questa è la prima volta che io lo provo in età da farci sopra qualche considerazione; ed eccomi di diciannove anni e mezzo, innamorato. E veggo bene che l’amore dev’esser cosa amarissima, e che io purtroppo (dico dell’amor tenero e sentimentale) ne sarò sempre schiavo. Benché questo presente (il quale, come ieri sera quasi subito dopo il giuocare, pensai, probabilmente è nato dall’inesperienza e dalla novità del diletto) son certo che il tempo fra pochissimo lo guarirà: e questo non so bene se mi piaccia o mi dispiaccia, salvo che la saviezza mi fa dire a me stesso di sì. Volendo pur dare qualche alleggiamento al mio cuore, e non sapendo né volendo farlo altrimenti che collo scrivere, né potendo oggi scrivere altro, tentato il verso, e trovatolo restio, ho scritto queste righe, anche ad oggetto di speculare minutamente le viscere dell’amore, e di poter sempre riandare appuntino la prima vera entrata nel mio cuore di questa sovrana passione.

Le leggo anche l’Elegia Seconda che ho appuntato a piè di pagina

Ma prego…(ormai il Conte non aspetta neanche più che gli dia il via...è partito)

[…]

Io qui vagando al limitare intorno,
Invan la pioggia invoco e la tempesta
Acciò che la ritenga al mio soggiorno.  

Pure il vento muggia nella foresta,
E muggia tra le nubi il tuono errante,
Pria che l'aurora in ciel fosse ridesta.  

O care nubi, o cielo, o terra, o piante,
Parte la donna mia: pietà, se trova
Pietà nel mondo un infelice amante.  

O turbine, or ti sveglia, or fate prova
Di sommergermi, o nembi, insino a tanto
Che il sole ad altre terre il dì rinnova. 

S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto
Posan l'erbe e le frondi, e m'abbarbaglia
Le luci il crudo Sol pregne di pianto. 

 

Poi c'è stata Silvia, un certa Nerina, Fanny ma qualcuno insinua anche un certo Antonio...

Oh, intende dire Antonio Ranieri?

Sì esattamente lui

Un'amicizia di 7 anni, fino alla fine dei miei giorni sulla terra, so che lui ha scritto un libro su questa nostra amicizia... ne potremo parlare di Antonio, magari un'altra volta.

Grazie, allora la considero una promessa

Veramente era un modo per sgattaiolare via...

Parte dell'Intervista è tratta da Diario del Primo Amore, scritto nel 1817. Il Diario, l' Elegia Prima (poi pubblicato con il titolo di: Il Primo Amore)  e l' Elegia Seconda sono ispirati all'amore per Geltrude Cassi.
Le parti in corsivo sono pura fantasia

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