IL MIO NOME E' ELEONORA
(tratto da "Tarli senza Cornici")
Inosservata guardava le
persone che oltrepassavano l'arco: calpestavano l'ombra del campanile
spezzettata nei cento gradini della scalinata.
Antica, scivolosa.
Notata
da uno dei passanti, turisti tedeschi, tirò la tenda di tessuto spesso e chiaro
e di lei lasciò intravedere solo la sagoma mentre scompariva. Visioni
reciproche tra luglio e agosto quando è davvero troppa la luce, troppo lunghe
le giornate, e alta la temperatura; e i tedeschi così tanto stranieri. Ma tutto
ormai le era straniero: che lingua parlavano i suoi vicini di stanza? Di tanto
in tanto, urlavano; evitava di dividere con loro il pasto giù alla mensa: non
sopportava di vedere dentro le loro gole urlanti, un'identità a lungo
soffocata; e chissà come parlano i tedeschi, cosa avranno detto alla commessa
chiedendole i calzini gialli che ora calzano con i sandali. Che piedi lunghi.
Ma sono alti, è naturale.
Poi notò il cielo. Era bianco
per il troppo sole, lei preferiva il cielo di ottobre. Il cielo di ottobre si
lasciava guardare, sconfiggeva il sole, accoglieva le nuvole cariche di
pioggia. Ad ottobre poi, aspettava il cielo d'inverno che sembrava
striato di ghiaccio. E il sole, un lumicino.
La
sua finestra. Adorava la sua finestra, era l'unica cosa che possedesse lì in
quel luogo. Appena sveglia si volgeva verso la
finestra, dormiva, infatti dandole le spalle perché la luce della
mattina, colpendole gli occhi, la svegliava. Si sgomitolava dalle coperte e
guardava quel tratto di cielo che si insinuava fra la fessura in alto lasciata
dalle tende che non chiudevano bene.
Non sbadigliava mai appena
sveglia. Aveva una giornata intera per farlo.
Prima
di tirare le tende si lavava il viso e si vestiva: voleva che il giorno la
trovasse presentabile. Non era vanità, era una forma di autorispetto in quel
mondo dove il rispetto era stato dimenticato. Ma lei aveva così poco che
rinunciare anche al rispetto di se stessa, solo perché lo aveva stabilito
l'umanità <<L'umanità ha la presunzione di voler stabilire troppe
cose!>> (aveva detto nell'ultima occasione in cui si trovò a dividere un
suo pensiero con quell'umanità da cui la divisero portandola via di forza)
rinunciare solo per questo - pensava - le sembrava davvero la "pienezza del
niente".
Sono
piena di niente, scriveva nel suo diario e poi precisava Siamo tutti pieni di
niente qui dentro.
Era
mezz'ora che si era vestita che arrivava la colazione portata da Luigi, l'unico
che la chiamava Eleonora, il suo nome. Altri la chiamavano Zi' Nina, Nora, La
Vecchia, l' Isolata ma non erano i suoi nomi, il suo nome era solo Eleonora.
<<Buongiorno
Eleonora, dormito bene?>>
<<Dor...mito,
ssì.>>
Faceva
colazione seduta sul bordo del letto, rivolta verso la finestra; si sollevava:
a passi lenti si apprestava a gustare gli ultimi sorsi del caffellatte, più
latte che caffè, in piedi, appoggiata alla soglia del suo unico possesso.
Quell'inferriata. All'inizio
era una vera e propria gabbia; col tempo, i sedici quadrati da cui era formata,
divennero sedici possibilità di evasione.
Sfogliò
fino alla pagina bianca del giorno appena iniziato - non un vero e proprio
diario ma un quaderno a righe, bordato in rosso, copertina nera, damascata con
le impronte di Eleonora - avrebbe potuto rimanere così, deserta e bianca o
forse no, forse l'avrebbe riempita di ghirigori
e fiorellini o qualche pensiero sparso, comunque fosse, l'immagine della
pagina bianca che l'aspettava l'accompagnava passo, passo.
Aveva
settant’anni e il suo primo diario. Glielo aveva regalato Marco il nipotino di otto anni: voleva che
Eleonora vi scrivesse la sua vita, così quando sei morta la leggo, le aveva
spiegato. E lei ogni tanto vi scriveva qualche riga.
Seduta
al tavolo poteva vedere attraverso il quadrato numero 6 dell'inferriata, quello
centrale, le cime degli alberi, le loro foglie a due colori nelle giornate di
vento.
Non
era facile scrivere la sua vita per il nipotino osservando le cime degli alberi
o i tedeschi attraverso i quadrati
inferiori, e la sua vita passata la ricordava a fatica e con dolore altrimenti
non sarebbe mai finita lì in quel luogo, ma questo Marco non lo avrebbe mai
capito o forse solo da adulto, col tempo, ma dipende.
Le
urla, le liti, le bestemmie, le rincorse per i corridoi spostavano l'attenzione
di Eleonora ai quadrati superiori pieni di cielo: che fosse grigio, limpido,
azzurro o bianco saturava quegli spazi ferrei da sembrare perfetto alla vista e
all'udito.
Sì il cielo riempiva la sua
vita, le vite passate e quelle future e anche Marco avrebbe visto tanti di quei
cieli.
Ritornò con lo sguardo sul
foglio, concentrata come raramente le accadeva:
Siamo pieni di niente.
E il cielo è immenso.
firmato, la nonna Eleonora.
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